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L’uomo è un automobilista genocida alla guida di un rullo compressore che investe tutti quelli che lungo la sua strada non si avvedono del suo arrivo tirandosi da parte con sufficiente lestezza.
Però non prendetevela con lui perché non è colpa sua se è strabico.
Il fatto è che il suo occhio sinistro è puntato a guardare con nostalgia al passato, mentre quello destro scruta ansiosamente pieno di timori e speranze il futuro. E così, strada facendo, neanche si accorge dei cadaveri che semina.

«…e quello disse: "Guardiamo oltre: stiamo progettando il Futuro!»

Ed egli si domandava: «Che avrà mai il futuro che tutti devono guardare a lui? Il futuro di un film una volta era fatto di due parole "the" e "end" e in questo non ci vedo niente di interessante. Forse è per evitare questo che dopo hanno messo i backstage, i fuori programma o i prologhi ai successivi sequel. Ma nemmeno nello scoprire chi sia il colpevole se non fosse che chiude il cerchio della trama. Nella storia, tuttavia, non c’è nessun cerchio e la trama non è mai coerente: ad ogni passaggio richiede che si rispieghi alla luce del cambiamento il senso dei passaggi precedenti (che mentre passavano ovviamente avevano una logica del tutto estranea a quella successiva)».

Dunque, vivo come si va in bicicletta, che se stai fermo non vai in bicicletta, ma se devi andare sulla bicicletta non puoi star fermo, pena il cadere e magari farti male: per stare seduto hai da tenere l’equilibrio e per poterlo fare almeno ogni tanto devi dare un colpo di pedale.

Ecco, il mio futuro è quel colpo di pedale che mi permette di stare seduto in sella, almeno fino a che c’è strada davanti, e la mia mèta, il Grande Futuro, quello è: la strada.

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