Mese: Giugno 2019

Digital Sisyphus

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23 Avenue de Saint-Roman, 06240 Beausoleil, Francia

Digital Sisyphus

Abbiamo davvero troppo di tutto per poterlo tenere a mente. Solo di app nello smartphone sono più quelle che non ricordo più a che cosa servono e quelle di cui è scaduto o si è rinnovato automaticamente l’abbonamento di quelle che so che cosa fanno e che addirittura ho usato qualche volta. Ogni volta che credo di avere sistemato quella roba pesante, ecco che lei torna punto e a capo.

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La fatica di chiamarsi Salvatore

La fatica di chiamarsi Salvatore

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La fatica di chiamarsi Salvatore

Secondo me Gesù doveva stare antipatico a molti: troppo presuntuoso e intollerante, chi si credeva d’essere? Un vero padreterno! A salvarlo probabilmente era il fatto che se la cavasse male con l’aritmetica e che faticasse a imparare le poesie a memoria.

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giugno 22, 2019 07:35

giugno 22, 2019 07:35

Perdono

Questa parola è sopravvalutata nel pensiero di questi anni.
Non voglio dire che non sia importante, anzi!
Il problema è che si può perdonare il fatto che il vaso si sia rotto e si può anche riuscire a reincollarlo senza nutrire rancore per chi lo ha fatto, ma quello che è sbagliato è pensare che quel vaso sia sempre lo stesso, che sia sempre stato così o che non ci sia alcuna differenza fra il prima e il dopo.
L’incidente che mi ha procurato il danno alle ossa è stato perdonato da tempo e posso anche non ricordare chi lo ha causato, ma ad ogni cambio di tempo quel dolore che non se ne va mi ricorda la sua presenza nella mia vita.

Spesso, invece di “perdonare” bisogna usare:

  • andare oltre
  • superare
  • metabolizzare
  • accettare

Crescere con quel dolore, con quella consapevolezza, con quella comprensione, con la compassione per ogni essere senziente, se stessi compresi: accettare che quella scheggia che si è infilata nella tua storia faccia parte di un nuovo te stesso: poco importa se più bello o più brutto.
Accettare la propria storia, la propria identità, il proprio meme, l’altro che è in noi perché solo quando farà del tutto parte di una nuova identità potremo aver guadagnato il beneficio dell’oblio.

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Il numero dello spirito

Il numero dello spirito


Il 9 è il numero dello spirito perché non ha materia e come quello è un seme di senape, infinitamente piccolo; concettuale come il punto in geometria. Non modifica il numero con cui si accompagna pur offrendone una variante significativa con cui lo arricchisce. Non ha un’identità forte e per questo sopravvive a tutte le sue combinazioni. Di vita in vita.

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Old Newbie Epidemic

Old Newbie Epidemic

Pecoroni da smartphone

«Ma come… non hai Whatsapp???». «Non vorrai dirmi che non sei nemmeno su Facebook???». «Se non sei su Linkedin sei tagliato fuori!!!»

Il danno comunicativo maggiore non è costituito dalle fake news, quanto piuttosto dagli One-Dimensional People (parafrasando Marcuse) della rete. La pigrizia intellettuale e lo spirito gregario acefalo non hanno età. E quel che è peggio è che fanno della loro pochezza una pseudo-autoironica motivazione vetero-snob.
«Guarda tutta questa gente che invece di parlarsi a tavola stanno attaccati al cellulare a chattare» (e lo dicono mentre condividono su Facebook in modalità slide il loro “originalissimo” pensiero)
«Ai miei tempi sì che si viveva bene senza tutta questa tecnologia!» sentenziano mentre imperversano i tintinnii delle loro notifiche Whatsapp.

«Ah questi telefoni… sempre lì a squillare. Ma io mica la guardo quella roba. Non ci vado mai su Facebook, quanto a Whatsapp sono gli altri che mi riempiono di stupidaggini. Non sono mica io a farli amici: sono loro che fanno amico me. Che vuoi farci: sta roba me la sono trovata così quando ho comprato il telefono, altrimenti io non ce l’avrei messa. Non ci capisco mica niente di queste diavolerie moderne. È stato mio nipote a mettermici e adesso non saprei come togliermici. Dici che puoi farlo tu? No, guarda, meglio di no, altrimenti mio nipote si offende. Facebook ormai lo usano solo i vecchi: io adesso sono passato a Instagram che non è di Zuckerberg così gli faccio anche un dispetto»

Un tempo il “telefonino” era una iattura per loro e soprattutto non capivano perché la gente si mandasse gli SMS invece di parlarsi. Il mio primo Whatsapplo installai su un Ipod Touch (che i più neppure ricordano che cosa fosse): di roba del genere ce n’era altra, ma questo funzionava su tutti i dispositivi Nokia Symbian compreso. Domandavo alle persone perché pagassero gli SMS se potevano usare quello e tutti mi rispondevano alla Carosone “Tu vu’ fa l’ammericano, ma si nat’in Italy”. Ad un certo punto è esploso come un’epidemia. Afflitto da infinite catene di Sant’Antonio, l’ho rimosso, ma poi ti toccava usarlo costringendoti ad un tira e molla estenuante. Nel frattempo gli SMS sono diventati gratuiti nei contratti telefonici come pure illimitate sono le chiamate possibili, eppure proprio ora la gente ha cominciato ad imperversare con messaggini e tediose quanto inutilizzabili chiamate IP su Whatsapp e simili.

La muffa del futuro

Dopo aver scoperto che aveva più fori del Colosseo e che il programma stesso è diventato un macro malware (infatti gli allegati che manda in giro sono pieni di meta-tag invasivi) ho deciso di eliminarlo di nuovo. Però “gli amici” continuavano imperterriti a scrivermi. Agli appuntamenti persi soggiungevano: «Guarda, ti avevo avvisato su Whatsapp». Queste giogionate sono diventate “La Gazzetta Ufficiale” della vetero-modernità. Ho dovuto a questo punto installarlo di nuovo per potere definitivamente rimuovere del tutto l’account per fare in modo che non lo usassero per comunicare a un dispositivo privo del programma.
«Come sarebbe a dire che ti sei tolto da Whatsapp. Non si può mica, sai. E poi devi sempre distinguerti e fare l’originale a tutti i costi. Non puoi essere come tutti? Adesso se uno deve farti sapere qualcosa come fa?»
«Prendo le informazioni e te le giro con Whatsapp, mica con quelle stupide e-mail come i rincoglioniti. Ah, scusa… tu non ce l’hai? Ma come? Uno moderno e all’avanguardia come te che non è su Whatsapp!…»

La legge del minimo sforzo

Siamo arrivati al paradosso che anche le aziende che fino a ieri disdegnavano l’instant messaging e che ora che li hanno sdoganati hanno diverse soluzioni interne per favorire sicurezza e privacy, anche loro hanno dovuto fare marcia indietro e tollerarne l’uso. Non solo: se scrivi ai colleghi usando i mezzi ufficiali facilmente non leggerà nessuno, ma se usi Whatsapp potrai tranquillamente comunicare con CEO e Presidente. Il fine giustifica i mezzi (“di grignolino” Farassino)!
“E il tennis avanza, e i coccodrillini dilagano, perché è giusto espandere le cose, così si corre con la stessa maglietta. E il tennis avanza e non risparmia nessuno, e ora in tutte le fabbriche ci sono i campi da tennis, e si capisce chiaramente che è la base che ha imposto i suoi gusti: praticamente la proletarizzazione (…) Bisognerà pur decidere, o avere dei nemici, o giocare al tennis” (G. Gaber)
Chi come il sottoscritto, pur arrivando con l’ondata dei primi anni novanta, appena “la madre di tutte le reti” era appena evasa dalle colonie universitarie, ha visto passare di tutto su Internet, e ha aperto quella porta grazie ad Howard Rheingold, ha visto ancora i Gopher e Veronica il primo motore di ricerca o i proto-browser come Cello che sdoganavano la tristezza del Telnet, mentre le reti delle BBS, specialmente la OneNet basata su First Class erano molto più interessanti di quel che trovavi su Internet, e Marc Andreessen si faceva soffiare il primo browser basato sul codice adattato dal linguaggio markup per le stampanti di Tim Berners-Lee, quel Mosaic che girava (come tutti i primi programmi interessanti) solo su Mac… e poi Netscape, Altavista, mentre Yahoo riusciva a fare ancora il suo splendido lavoro di catalogo generale del WWW… ecco, uno così che si sente dire: «Ma come?… non sei su Whatsapp?» oppure «Perché non leggi i messaggi che ti mando su Facebook Messenger?!», beh, sente di aver sbagliato tutto e gli sembra di stare ripetendo il patetico monologo di Rutger Hauer / Roy Batty, il quale sotto la pioggia prima di morire:
Ma a questo punto però ricordo anche che ai tempi tanto celebrati della gioventù, i miei coetanei a parole più sfegatati andavano ai cortei per fare un giorno di vacanza in più, per “tacchinare” le compagne femministe o per avere una buona occasione per una rissa, mentre le ragioni politiche le lasciavano agli “intellettuali”, i quali facevano il verso ai critici d’arte per snobberia ma usavano lo stesso criterio nozionistico appreso nella scuola “borghese”; ai concerti andavano a sentire quello che ascoltavano tutti e difficilmente facevano fatica a capire la ricerca e la sperimentazione; facevano di zen, arancioni, harikrishna, sufi, maharishi, marcuse, saibaba, freud, jung… tutta l’erba un fascio e impastavano in un gran polpettone da divorare a tutte l’ore, riducendo i valori ad un cambio di calzature: dalle Barrow’s da gelateria discoteca alle Superga sdrucite per assemblee e occupazione. Ricerca e approfondimento sono sempre state per pochi, solo che oggi gli allevamenti si sono fatti più pervasivi e perfezionati:

Da carne da cannone si è diventati crani da chat.

La moscacieca dei contenuti

La moscacieca dei contenuti

Telegraficamente: inserire contenuti a pagamento o gratuitamente? https://medium.com/il-segno-chiaro/la-moscacieca-dei-contenuti-dcb5cd2bd75b?postPublishedType=initial

Su questo tema si sono sprecate troppe parole e previsioni. Personalmente credo che di contenuti soltanto sia difficile campare, specialmente quando questi non sono clip di gossip su Youtube o quando non sei diventato di moda come influencer che tutti vanno a curiosare per capirne la ragione. La questione mi interessa relativamente poco. Quello che mi interessa di più è cercare di capire perché le stesse persone che non vanno a leggere quello che scrivi quando lo pubblichi in un tuo spazio poi non mancano di guardarlo quando le inserisci in un luogo nato per far fare soldi ad altri proprio come questo che stai guardando (che è l’unico che poi stimo anche se un po’ troppo yankee-centrico) e soprattutto Facebook, Youtube, Instagram, LinkedIn e così via. Dunque, visto che con Medium.com si può, ho deciso di inserire gli articoli nel piano a pagamento. Puoi facilmente immaginare la quantità di denaro che ci posso ricavare: il mio pezzo più letto — ben più di 5000 lettori— riguarda uno stupido consiglio su come usare una chiavetta in Ex-FAT. Il fatto è che nessuno va a leggere dove inserisco i pezzi gratuitamente — quasi sempre gli stessi pezzi— preferendo farlo tramite le mangiatoie per bestiole da allevamento. E poi c’è anche chi ti contesta per questa scelta e soggiunge, un po’ come quando ho rimosso il mio account Whatsapp,  «Ma se tutti fanno così perché non puoi adeguarti anche tu invece di fare l’originale a tutti i costi?». Cantava Francesco De Gregori in una canzone dei miei tempi, Cercando un altro Egitto: «Amore, amore… portami via: devo ancora svegliarmi».
Il leader olistico

Il leader olistico

Joseph Schumpeter

I manager hanno i giorni contati.

Se non proprio i giorni, quanto meno gli anni.

Le ragioni sono poche ma radicali:

  1. Se non fosse così sarebbero le imprese e l’economia più in generale ad averli.
  2. Con così tanti manager in circolazione non ci sarà più in giro la competenza che serve per fare le attività.
  3. Se quelli inevitabili verranno pagati sempre meno a fronte di crescenti responsabilità e carico di lavoro, con una prospettiva di impellente turnover prima o poi anche l’ambizione lascerà il posto al disincanto.
  4. L’intelligenza collettiva nelle imprese e nelle reti di imprese sarà più manageriale di loro.
  5. Le scelte, da un lato sono sempre più soggette a dei monopoli internazionali decisamente ristretti ai minimi termini, dall’altro si fanno sempre più obbligate dall’ambiente socio-naturale da renderli dei meri esecutori.

Quella che invece va facendosi strada è un’altra figura: quella del leader non-manageriale, l’influencer.

Nel passato si consideravano veri leader coloro che occupavano posizioni di potere, ma l’avanzata delle organizzazioni olistiche e delle imprese social-based stanno modificando questo concetto.

Quello che non cambia è la legge di Pareto, quella nota anche come 80% 20%. Le organizzazioni olistiche social-based non devono essere viste come realtà plebiscitarie.

Il potere è banale, si sa.

È altrettanto banale il potere dei manager basato sul principio napoleonico del “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca!” (riferito alla consegna della Corona ferrea, il 26 maggio 1805), quanto lo è quello delle masse (o “del proletariato al potere”). Nessuno dei due è abbastanza intelligente ed entrambi procedono per imitazione dei luoghi comuni: prevaricazione, egoismo, voracità, ingordigia, moda, eccetera.

Tra le due curve di stadio, spesso in duetto armonico fra loro (“Odio Berlusconi perché vorrei essere io Berlusconi e quindi se un Berlusconi non ci dovesse essere starei peggio perché non potrei mai esserlo io”) esiste una terza e più complessa figura: quella del leader. Un tipo nuovo di leader: il social-influencer che preferisco definire holistic leader.

Intanto leader olistico non si impara a diventarlo: si viene adottati. Poi la cosa non va confusa con il grande successo: non è quello che vende più dischi ad essere leader, ma quello che porta molti musicisti mainstream ad usare i suoi codici, spesso diversi solo di pochi ma determinanti dettagli. Alcuni di questi possono ricevere più successo di quanto aspirassero ad averne, ma la stragrande maggioranza di loro sono sconosciuti e comunque meno interessati all’enorme successo di quanto non si affermi. Si pensi, ad esempio, a Michael Jackson: un bambino diventato cinquantenne senza avere avuto mai una vita propria e libera, un essere che non ha mai vissuto se non nella musica e che è sempre stato usato dalle masse del pettegolezzo e dagli squali delle industrie e della finanza. Siamo sicuri che siano questi i modelli di vita che vorremmo imitare? O forse non preferiremmo essere un Quincy Jones che, per quanto avesse una grande fama fra i meno inesperti, sono molto pochi a sapere l’influenza che ha avuto su diversi artisti a partire dall’album-primato Thriller firmato da Michael Jackson?
E ho usato due esempi clamorosi che potessero essere noti ai più, ma sono un’infinità quelli che potremmo citare, da Doug Engelbarth a Joni Ive, da Pierre Jannet a Mesmer…

Le caratteristiche del futuro leader olistico sono tutte da individuare, tuttavia possiamo già indicarne alcune.

  1. Quasi anonimo. Piuttosto schivo e poco interessato al riconoscimento da parte del top management come della grande massa, si affida alla rete ristretta delle persone che stima spesso con sentimenti prossimi all’affetto, aspettandosi che loro abbiano altre reti di legami non strettamente dipendenti dalla propria persona. Nondimeno, ricorderà bene che anche gli amici cambiano, impazziscono, tradiscono, si innamorano della donna o dell’uomo sbagliati, fanno cattivi investimenti, hanno paura… e tutto questo capita anche all’estraneo che abitiamo in noi stessi. Dà il massimo valore possibile alla maieutica e all’apprendimento, ma quando occorre sa dire di “no e basta”, almeno per quanto riguarda la propria persona e i valori a lui cari.
  2. Ego-free. Consapevole della provvisorietà di ogni cosa, non si aspetta niente indietro perché sa che non arriverà o quantomeno non sarà mai all’altezza della soddisfazione che potrà ricevere da se stesso. Per questo, non tralascia la qualità della sua vita personale, il rispetto della propria privacy, la vicinanza alla famiglia, il tempo per le vacanze e soprattutto quello per il silenzio, sa staccare la spina quando serve e non consente a nessuna impellenza di interromperlo, fa suo il motto “Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile”, delega non per generosità ma perché ha altro da fare specialmente al di fuori di lì, sa che i pensieri non arrivano da lui visto che è un’antenna, sa stupirsi e si dimentica delle proprie idee come proprie, anzi, quasi demenzialmente si stupisce di quello che sente anche se l’aveva detto lui anni fa in modo tale da poterne cogliere qualche risvolto aggiornato che gli sarebbe sfuggito, e così via…
  3. Ecologico. Sa mescolare una logica lineare per praticità, privilegiando sempre quella circolare, quella ecologica fondata sull’effetto di ritorno, il feedback, consapevole che la scelta giusta può generare effetti indesiderati da un’altra parte. In quello che fa pensa al “tutto” che è sempre maggiore della somma delle parti. Per questo, non mira ad un’azione totale, ma all’effetto valanga o frana, scegliendo con cura il sasso giusto, la pietra giusta nel punto migliore perché il resto venga da sé e non da una serie di azioni. Poi accudisce e accompagna il processo che si origina, arginando la frana o guidandola quando prenda direzioni indesiderate, anche questo quando sia possibile, non in prima persona, ma attraverso l’influenzamento.
  4. Non disdegna l’automazione soprattutto per le attività non strategiche o che non hanno valore per la crescita delle persone, tuttavia è consapevole che la strategia migliore non consiste nell’automatizzare le procedure, ma nell’eliminarle il più possibile, soprattutto quando comportano che le persone tendano a dare loro valore, a trovare un senso al proprio lavoro occupandosi di loro o, peggio ancora, quando per far “rendere” le procedure si impegnano le persone ad essere le macchine, i terminali stupidi, dei protocolli; quando fanno perdere ad amici e colleghi il senso del valore della cura, quella cantata da Battiato che si applica non solo alle persone, ma al sistema stesso e alle creazioni.
  5. Non ha dei credo, né riguardo agli strumenti e nemmeno alle mode manageriali e sa che quello che si fa in un determinato ambito deve riflettersi nell’ambito complementare. In questo segue i principi del bilanciamento dinamico, ovvero del principio dell’adattamento tramite la gestione attraverso gli opposti, nella simmetria come nella complementarietà [un principio che spiegherò meglio in futuro]. Per fare un esempio frequente, non pensa che le azioni svolte in ambito virtuale (ad esempio su Internet) vada da solo per potenziarsi in rete e che invece quello che si muove nel mondo reale, quello del brick ‘n mortar, sia destinato a restare confinato nel mondo fisico. In questo come in altro ambito segue il principio del biliardo, con il gioco di sponda: non si fanno mai cadere i birilli indirizzando la palla direttamente sul castello, ma si colpiscono un certo numero di sponde e si attivano tutte le biglie possibili perché, colpendosi fra loro, facciano cadere quelle che serve nelle buche mentre buttano giù il maggior numero di birilli possibile.

Ecco perché il leader olistico è un amico per pochi e da pochi riconosciuto, il cui risultato non sarà l’essere famoso o particolarmente amato, ma piuttosto che coloro con cui interagisce si riconoscano fra di loro e nel pensiero che appartiene al loro gruppo, al clan di influenzamento al quale abbiano a cuore di partecipare, costituendo uno stile di pensiero e un’influenza nei valori del mondo in cui si vive.

#openorg #holistic

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Del mio Podcast

Del mio Podcast

Sono andato a curiosare per vedere l’effetto che fa il podcast iniziato l’anno scorso e mai proseguito (dal quale fra l’altro, trasse origine l’idea di questo sito).

Alla fine quello più convincente è come appare su Spotify:

A conferma che al momento forse è proprio l’editore svedese che ha comprato Anchor a sembrare il più convinto sulle “radio libere” via web.

Apple, che diede il via al fenomeno circa vent’anni fa invece ora si attesta a malapena sul mainstream, mentre Google non ha app per tutte le piattaforme, concentrandosi solo su Smartphone Android.

Così invece è come appaiono da browser su Stitcher e Anchor.

Infine, chiude la piccola galleria l’interfaccia solo-android di Google Podcast.

Prescrivere il sintomo

Prescrivere il sintomo

Esempi di intervento — Lezioni di Bilanciamento Dinamico

Se negli interventi di tipo 1 sarà piuttosto facile suggerire un comportamento che contrasta la situazione indesiderata, lo stesso non vale per quelli di tipo 2. Un esempio di intervento di tipo 1potrebbe essere: «Visualizza la persona che ti può far stare bene. Guarda come sarai fra vent’anni — senza paura o profezie e senza desiderio o volontà — e ritornando indietro cerca di precisare sempre meglio la persona che ti avrà portato ad essere così fino ad arrivare ad oggi. Guarda ora chi dovrai essere tu per attirare una persona di questo tipo e guarda intorno a te chi assomiglia a quella persona che si trova bene con quel te stessa — che continui a non essere tu».

In definitiva nel tipo1, in una situazione di processi di eccessiva stabilizzazione o immobilità (“mefistofelici”) si introducono elementi di desiderio, di volontà, anche di alienazione e perfino di coraggio (“luciferici”), spingendo le persone a mettere in atto comportamenti molto semplici e per nulla pericolosi per una persona normale ma che possono apparire eccessivamente audaci per il cliente. Oppure, a fronte di pulsioni incontrollabili (siano esse caratterizzate da paura o desiderio o macchinazione), di insaziabile appetito di potere, di realizzazione, di generare attrazione e dipendenza o di realizzare ideali carichi di integralismo (“luciferico”) si può instillare un processo di stabilizzazione e razionalità calcolata e mediata da elementi di concretezza materiale (“mefistofelici”) tali da fare recuperare un equilibrio mobile.

Il più delle volte questi non avranno ragione di essere realizzati, specialmente se durante il setting verranno fatti sperimentare con intensità e veridicità. Quello che ne uscirà sarà probabilmente una situazione di compromesso, un adattamento accettabile che per venire percepito potrà richiedere un insight retrospettivo durante gli incontri successivi. Questo passaggio sarà fondamentale proprio per permettere l’appropriazione dell’intervento di cambiamento da parte del cliente che altrimenti non se ne sentirà affatto autore. È infatti fondamentale che il risultato non sia mai percepito essere il cambiamento in sé, ma piuttosto l’appropriazione del processo di apprendimento da parte del cliente, la sua comprensione e la fiducia nella capacità di poterlo ripetere in altre situazioni.

Come abbiamo detto però gran parte dei nostri casi, anche qualora si presentino come quelli descritti prima, si porta dietro delle situazioni di tipo2. Ad esempio: «Ho fatto quello che mi ha prescritto ma mi sono visto brutto». Oppure: «Quello che mi chiede per me è inaccettabile», o anche «So anch’io che basterebbe fare così, ma se sono qui è perché non mi è possibile». Per evitare di incappare in queste situazioni occorre utilizzare la seconda via del bilanciamento dinamico, quella indiretta o omeopatica, dove l’indirizzo non deve arrivare dal counselor e spesso neppure essere percepito in quanto tale: occorre che l’operatore per primo creda fortemente nel potere dell’inconscio, come pure in altre forme di “ignoranza percettiva attiva”, come interventi angelici o processi neuronali dell’ippocampo, vanno tutti bene e abbia fede nel fatto che avverrà quello che deve avvenire. Se sei scettico e addirittura irritato da queste parole questo lavoro non fa per te.

Bisogna sapere prescrivere il sintomo.

Dove l’enfasi va posta proprio sul savoir faire nell’arte della prescrizione.

«Per riassumere, mi sembra di capire che tu ti stia descrivendo come una persona che non sa dire di no e che per questo ti sia sottoposta a delle situazioni umilianti che ti fanno perdere del tutto la stima di te. Tuttavia, ritengo estremamente importante comprendere come il fatto che tu non apprezzi la tua persona è perché hai iniziato un lavoro e non hai la meticolosità necessaria per portarlo a fondo. Per esempio ora ti potrei chiedere di prendere quel fazzoletto e pulirmi le scarpe. Lo faresti vero? Certo, ora mi diresti che non è possibile, ma nel tuo intimo ti rendi conto che lo potresti benissimo fare. Potresti addirittura leccarmele le scarpe. Non c’è bisogno che ti mostri scandalizzato. Sai che non ti chiederò di farlo. Ciononostante quello che è assurdo è che la tua bocca sta sentendo il gusto del lucido da scarpe e le tue papille gustative percepiscono con un misto di disgusto e di perverso piacere il sapore delle suole. Questo accade perché in questa situazione tu avverti che io sono una persona che ha del potere. Certo, ce l’ho qui ed ora e non in una situazione diversa e ne è la prova il fatto che nonostante pensi che sto facendo un discorso da pazzo arrogante tu sei incollato alla sedia e non hai preso quella porta per uscire. Quello che intendo per andare fino in fondo vuole dire che dovrai identificare delle persone per le quali non nutri alcuna stima, gente che consideri falliti oppure dei tuoi sottoposti, dei deboli, degli imbranati. Sono le loro scarpe che, per modo di dire, dovrai leccare: è a loro che dovrai fare in modo di chiedere di umiliarti di farti sentire uno schiavo disposto a fare qualsiasi cosa ti chiedano. Vorrei che ora identificassi delle persone senza potere, che ne abbiano molto meno di te, che non valgano proprio nulla nella scala evolutiva del tuo entourage e provassimo ad immaginare quello che potresti fare con ognuno di loro. Cominciamo!»

In zona Cesarini — la strategia del contropiede

Anche se qui abbiamo messo in azione numerosi meccanismi non così facili da spiegare in un semplice articolo, quelli che devono essere chiari sono alcuni principi: 1) nei casi di tipo2 è una tecnica spesso importante prescrivere il sintomo; 2) la prescrizione non richiede di essere eseguita; il più delle volte va però esercitata nell’immaginario (possibilmente in sede di seduta stessa) 3) quando si prescrive come homeworking dev’essere in una safe zoneovvero qualcosa di fortemente inconsueto ma a dosi infinitesimali per quanto emotivamente cariche possibilmente tali da spingere a non essere eseguite ma con delle sollecitazioni a pensarci e ripensarci: quanto più si evita un compito tanto più intensamente si sarà eseguito l’esercizio 4) al ritorno va richiesto con una certa premura il ritorno dell’esecuzione del compitolasciando intendere che la cosa era fondamentale e quello che non si è fatto o si è fatto male non sarà più lo stesso la volta dopo, complimentandosi invece dell’ottimo lavoro svolto quando lo si sia eseguito (magari era un’inezia) 5) ma, comunque siano andate le cose, il tema a seguire — trattato come quasi una questione marginale — sarà che cosa è successo durante la settimana, quali cambiamenti casuali siano intervenuti e in che modo l’inconscio (o il sembiante che si preferisce) si sia affacciato nella vita di tutti i giorni al punto di — eventualmente — modificare il contratto di partenza, ovvero la definizione degli obiettivi. In ultima analisi che cos’hai — seppure casualmente — imparato in questo periodo e come potresti riutilizzarlo in futuro, per quanto piccolo possa essere.

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