Categoria: Bilanciamento Dinamico

Serve il presente!

Serve il presente!

Non spostarsi mai dal presente è un esercizio arduo, al confine dell’impossibile, ma è quello che sarà indispensabile nei frangenti più drammatici della nostra esistenza, come il momento della morte e soprattutto, per quelli che lo ritengono fondato, in quello che ne consegue.

Vivere il presente è concentrarsi solo su quello che percepiamo, sul suo senso attuale senza alcuna interpretazione pregressa o previsionale e assumersi le scelte che l’istante comporta.

Periodi storici come quello che stiamo attraversando richiedono proprio quel tipo di guida o leader che lo si voglia chiamare: un leader che sappia in ogni momento stare in equilibrio sul presente e che attrezzi dei team capaci di fare lo stesso in serenità, anche perché se loro non sanno fare lo stesso non potranno fare altro che squilibrarlo facendolo cadere a discapito delle loro stesse persone, proprio come quando lo scorpione punge la rana che lo sta traghettando sull’altra sponda dello stagno causando in questo modo il suo stesso annegamento. Purtroppo il popolo, esattamente come le lobbies, non possono essere comprese in questo quadro: non sapranno mai né cos’è l’equilibrio né, quindi, che cos’è il presente. Il presente chiede di mettere di lato la programmazione facendo in modo di fare subito quello che può essere fatto qui e ora, ivi compreso riposarsi e apprezzare ciò che si è e si ha e che diventa altro mentre si dice “è”.

Come si fa a vivere il presente? Esiste una semplice regola meno complicata di tanti esercizi di concentrazione:

Intercettare e nominare, proprio come i bambini che giocando a nascondino dicono «Un due tre per Mario dietro la macchina», ogni singolo rimorso e ogni singolo rancore come pure ogni singola speranza e ogni singolo desiderio.

«Speravi di fregarmi! Invece ti ho beccato e adesso non giochi più».

Infine occorre praticare il paradosso peggiore: apprendere da ogni istante senza attaccarsi alla cognizione acquisita, lasciando che sia altro – lo si chiami pure inconscio, meme, tra, dna cognitivo o campo morfico, poco importa – ad occuparsi di essa avendo fiducia che allorché serva ne ritroveremo traccia nei presente successivi.

La storia dell’anima è un paesaggio di segmenti a zig-zag fra burroni e belve dietro ogni angolo, superati i quali cascate dissetanti si succedono a deserti infiniti, come caldi raggi di sole ci rigenerano dopo disgeli inaspettati.

Non è né bella, né brutta: è solo nostra e dell’individualità che andremo a comporre assieme alle anime che alla nostra si uniranno strada facendo nella nuova entità entro la quale finalmente supereremo tutto ciò.

Prescrivere il sintomo

Prescrivere il sintomo

Esempi di intervento — Lezioni di Bilanciamento Dinamico

Se negli interventi di tipo 1 sarà piuttosto facile suggerire un comportamento che contrasta la situazione indesiderata, lo stesso non vale per quelli di tipo 2. Un esempio di intervento di tipo 1potrebbe essere: «Visualizza la persona che ti può far stare bene. Guarda come sarai fra vent’anni — senza paura o profezie e senza desiderio o volontà — e ritornando indietro cerca di precisare sempre meglio la persona che ti avrà portato ad essere così fino ad arrivare ad oggi. Guarda ora chi dovrai essere tu per attirare una persona di questo tipo e guarda intorno a te chi assomiglia a quella persona che si trova bene con quel te stessa — che continui a non essere tu».

In definitiva nel tipo1, in una situazione di processi di eccessiva stabilizzazione o immobilità (“mefistofelici”) si introducono elementi di desiderio, di volontà, anche di alienazione e perfino di coraggio (“luciferici”), spingendo le persone a mettere in atto comportamenti molto semplici e per nulla pericolosi per una persona normale ma che possono apparire eccessivamente audaci per il cliente. Oppure, a fronte di pulsioni incontrollabili (siano esse caratterizzate da paura o desiderio o macchinazione), di insaziabile appetito di potere, di realizzazione, di generare attrazione e dipendenza o di realizzare ideali carichi di integralismo (“luciferico”) si può instillare un processo di stabilizzazione e razionalità calcolata e mediata da elementi di concretezza materiale (“mefistofelici”) tali da fare recuperare un equilibrio mobile.

Il più delle volte questi non avranno ragione di essere realizzati, specialmente se durante il setting verranno fatti sperimentare con intensità e veridicità. Quello che ne uscirà sarà probabilmente una situazione di compromesso, un adattamento accettabile che per venire percepito potrà richiedere un insight retrospettivo durante gli incontri successivi. Questo passaggio sarà fondamentale proprio per permettere l’appropriazione dell’intervento di cambiamento da parte del cliente che altrimenti non se ne sentirà affatto autore. È infatti fondamentale che il risultato non sia mai percepito essere il cambiamento in sé, ma piuttosto l’appropriazione del processo di apprendimento da parte del cliente, la sua comprensione e la fiducia nella capacità di poterlo ripetere in altre situazioni.

Come abbiamo detto però gran parte dei nostri casi, anche qualora si presentino come quelli descritti prima, si porta dietro delle situazioni di tipo2. Ad esempio: «Ho fatto quello che mi ha prescritto ma mi sono visto brutto». Oppure: «Quello che mi chiede per me è inaccettabile», o anche «So anch’io che basterebbe fare così, ma se sono qui è perché non mi è possibile». Per evitare di incappare in queste situazioni occorre utilizzare la seconda via del bilanciamento dinamico, quella indiretta o omeopatica, dove l’indirizzo non deve arrivare dal counselor e spesso neppure essere percepito in quanto tale: occorre che l’operatore per primo creda fortemente nel potere dell’inconscio, come pure in altre forme di “ignoranza percettiva attiva”, come interventi angelici o processi neuronali dell’ippocampo, vanno tutti bene e abbia fede nel fatto che avverrà quello che deve avvenire. Se sei scettico e addirittura irritato da queste parole questo lavoro non fa per te.

Bisogna sapere prescrivere il sintomo.

Dove l’enfasi va posta proprio sul savoir faire nell’arte della prescrizione.

«Per riassumere, mi sembra di capire che tu ti stia descrivendo come una persona che non sa dire di no e che per questo ti sia sottoposta a delle situazioni umilianti che ti fanno perdere del tutto la stima di te. Tuttavia, ritengo estremamente importante comprendere come il fatto che tu non apprezzi la tua persona è perché hai iniziato un lavoro e non hai la meticolosità necessaria per portarlo a fondo. Per esempio ora ti potrei chiedere di prendere quel fazzoletto e pulirmi le scarpe. Lo faresti vero? Certo, ora mi diresti che non è possibile, ma nel tuo intimo ti rendi conto che lo potresti benissimo fare. Potresti addirittura leccarmele le scarpe. Non c’è bisogno che ti mostri scandalizzato. Sai che non ti chiederò di farlo. Ciononostante quello che è assurdo è che la tua bocca sta sentendo il gusto del lucido da scarpe e le tue papille gustative percepiscono con un misto di disgusto e di perverso piacere il sapore delle suole. Questo accade perché in questa situazione tu avverti che io sono una persona che ha del potere. Certo, ce l’ho qui ed ora e non in una situazione diversa e ne è la prova il fatto che nonostante pensi che sto facendo un discorso da pazzo arrogante tu sei incollato alla sedia e non hai preso quella porta per uscire. Quello che intendo per andare fino in fondo vuole dire che dovrai identificare delle persone per le quali non nutri alcuna stima, gente che consideri falliti oppure dei tuoi sottoposti, dei deboli, degli imbranati. Sono le loro scarpe che, per modo di dire, dovrai leccare: è a loro che dovrai fare in modo di chiedere di umiliarti di farti sentire uno schiavo disposto a fare qualsiasi cosa ti chiedano. Vorrei che ora identificassi delle persone senza potere, che ne abbiano molto meno di te, che non valgano proprio nulla nella scala evolutiva del tuo entourage e provassimo ad immaginare quello che potresti fare con ognuno di loro. Cominciamo!»

In zona Cesarini — la strategia del contropiede

Anche se qui abbiamo messo in azione numerosi meccanismi non così facili da spiegare in un semplice articolo, quelli che devono essere chiari sono alcuni principi: 1) nei casi di tipo2 è una tecnica spesso importante prescrivere il sintomo; 2) la prescrizione non richiede di essere eseguita; il più delle volte va però esercitata nell’immaginario (possibilmente in sede di seduta stessa) 3) quando si prescrive come homeworking dev’essere in una safe zoneovvero qualcosa di fortemente inconsueto ma a dosi infinitesimali per quanto emotivamente cariche possibilmente tali da spingere a non essere eseguite ma con delle sollecitazioni a pensarci e ripensarci: quanto più si evita un compito tanto più intensamente si sarà eseguito l’esercizio 4) al ritorno va richiesto con una certa premura il ritorno dell’esecuzione del compitolasciando intendere che la cosa era fondamentale e quello che non si è fatto o si è fatto male non sarà più lo stesso la volta dopo, complimentandosi invece dell’ottimo lavoro svolto quando lo si sia eseguito (magari era un’inezia) 5) ma, comunque siano andate le cose, il tema a seguire — trattato come quasi una questione marginale — sarà che cosa è successo durante la settimana, quali cambiamenti casuali siano intervenuti e in che modo l’inconscio (o il sembiante che si preferisce) si sia affacciato nella vita di tutti i giorni al punto di — eventualmente — modificare il contratto di partenza, ovvero la definizione degli obiettivi. In ultima analisi che cos’hai — seppure casualmente — imparato in questo periodo e come potresti riutilizzarlo in futuro, per quanto piccolo possa essere.

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